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13.01.2014 10:26

Nella sua accezione tradizionale, romantica e ottocentesca, il paesaggio non esiste più; come sfondo di vita campestre o di vita naturale esso è stato quasi ovunque cancellato fuori di noi e dentro di noi. Con i suoi strumenti industriali l'uomo impronta in modi sempre più incisivi la superficie terrestre. Ciò tuttavia non esclude che il paesaggio, come realtà vista e vissuta, possa ancora utilmente essere assunto dalla cultura. Ma occorre una sua revisione epistemologica e concettuale, una sua ricollocazione scientifica. Questo libro considera il paesaggio nella sua dimensione antropica, come insieme di segni che rimandano alle relazioni interne delle società, ai loro modi di usare l'ambiente terrestre, di incidervi la propria impronta, sulla base di un confronto tra cultura e natura che varia a seconda delle forme di organizzazione che le stesse società sono riuscite storicamente ad imbastire nello spazio. Questo comporta uno spostamento d'interesse dal territorio alla società, alle sue strutture produttive, alla sua storia, alle sue rappresentazioni ecc. Si supera così la vecchia nozione di paesaggio pittorico, come quadro estetico del mondo, e quella che lo considera come dato oggettivo intimamente legato all'ambiente naturale e che, al di fuori della storia, si esaurisce scientificamente in una visione tassonomica della realtà.

 

 

Questo volume offre un percorso di lettura che, attraverso i contributi della ricerca etnografica, delinea il modo in cui gli aspetti materiali e simbolici producono, a partire dalla natura, uno spazio umanizzato, la cui rappresentazione risponde ai canoni peculiari di una cultura. L’autore mostra anche come la ricerca antropologica ha trattato il problema dell’organizzazione dello spazio agrario in relazione all’assetto economico e sociale, all’espansione dell’economia di mercato e all’introduzione delle innovazioni tecniche. L’antropologia, come del resto le altre scienze sociali, ha diretto oggi il suo interesse verso lo studio della percezione del rischio ecologico, la formazione dei movimenti ambientalisti, il rapporto tra mutamento sociale e territorio, la tutela del paesaggio. La ricerca antropologica contemporanea, insomma, è in grado di offrire un apporto importante alla comprensione di ideologie e pratiche della natura che, in vario modo, caratterizzano le società industriali, quali, ad esempio, l’alimentazione, i culti "neopagani", il turismo.

 

Città oasi di terra cruda, come quelle dei letti secchi dei fiumi dello Yemen, che utilizzano i rifiuti organici degli abitanti per fertilizzare le sabbie sterili e renderle adatte alla realizzazione di ardite architetture. Oasi di pietra scavate fin dalla preistoria nel Sud d'Italia, capaci di condensare nelle grotte e nelle costruzioni a secco l'acqua necessaria. Oasi religiose scolpite nelle valli d'erosione della Cappadocia, della Palestina, della Tebaide e dell'Etiopia, organizzate come eremi e giardini murati, irrigati tramite gallerie drenanti, cisterne e canalizzazioni. Oasi del mare diffuse nelle aride isole del Mediterraneo e del Mar Rosso, alimentate da sorgenti aeree... 

 

Landscape has long had a submerged presence within anthropology, both as a framing device which informs the way the anthropologist brings his or her study into 'view', and as the meaning imputed by local people to their cultural and physical surroundings. A principal aim of this volume follows from these interconnected ways of considering landscape: the conventional, Western notion of 'landscape' may be used as productive point of departure from which to explore analgous ideas; local ideas can in turn reflexively by used to interrogate the Western construct. The Introduction argues that landscape should be conceptualized as a cultural process: a process located between place and space, inside and outside, image and representation. In the chapters that follow, nine noted anthropologists and an art historian exemplify this approach, drawing on a diverse set of case studies. These range from an analysis of Indian calendar art to an account of Israeli nature tourism, and from the creation of a metropolitan "gaze" in nineteenth-century Paris to the sound scapes particular to the Papua New Guinea rainforests. The anthropological perspectives developed here are of cross-disciplinary relevance; geographers, art historians, and archaeologists will be no less interested than anthropologists in this re-envisaging of the notion of landscape.

 

The Archaeology and Anthropology of Landscape contributes to the development of theory in archaeology and anthropology, provides new and varied case studies of landscape and environment from five continents, and raises important policy issues concerning development and the management of heritage.

 

 

Valentina Rametta
Università di Palermo
Il desiderio del selvatico. La Wilderness come categoria
antropologica dell’immaginario
https://www.archivioantropologicomediterraneo.it/riviste/estratti_13/05.pdf
 
Nel quadro della riflessione contemporanea sul paesaggio
il concetto di Wilderness si configura come categoria
antropologica originaria, come paradigma primario di
pensiero che interseca gli strati biologici e culturali nella
percezione e nella rappresentazione del rapporto uomo/
ambiente. Il moderno interesse per il selvatico che trasversalmente
coinvolge le nuove istanze dell’ecologia
umana, dell’etnoecologia, dell’ecocritica, della letteratura
e dell’arte, mette in discussione le dialettiche consolidate
del modello culturale antropocentrico, esplorando
il legame con l’alterità dell’elemento naturale nella
costruzione della strategie di sopravvivenza ambientale,
delle competenze ecologiche e della definizione sociale.

    

 

 

 

Bibliografia

Landscape.pdf

 

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